La primogenita di Silvio Berlusconi in una lunga lettera, attacca la Magistratura. “Ma la guerra dei trent’anni non doveva terminare con la morte di mio padre?”
“Ma la guerra dei trent’anni non doveva finire con Silvio Berlusconi?”, si chiede la figlia Marina in una lunga lettera scritta oggi al quotidiano Il Giornale. La primogenita dell’ex presidente del Consiglio, torna sui rapporti tra il padre e la Magistratura. Sui tanti processi subiti e sull’accanimento subito dal fondatore di Forza Italia /che nel week end scorso ha portato a termine il primo congresso postberlusconiano, eleggendo Antonio Tajani alla guida del partito. “Dopo di lui, il tema giustizia non doveva tornare nei binari della normalità? No, purtroppo non è così. Ha aspettato giusto un mese dalla sua scomparsa, la Procura di Firenze, per riprendere imperterrita la caccia a Berlusconi, con l’accusa più delirante, quella di mafiosità. Mentre nel Paese il conflitto tra magistratura e politica è più vivo e violento che mai”.
“La scomparsa di mio padre – continua Marina Berlusconi nella sua lettera pubblicata oggi da Il Giornale – non ha mutato nulla. Dopo oltre vent’anni di inchieste, dopo una mezza dozzina di indagini chiuse su richiesta degli stessi pubblici ministeri perché non c’era – non poteva esserci – alcun elemento di prova, e subito riaperte in modo da dilatare strumentalmente qualsiasi termine di scadenza, dopo che i conti della Fininvest sono stati passati per anni al setaccio senza risultato, ci sono ancora pm e giornalisti che insistono nella tesi, assurda, illogica, molto più che infamante, secondo cui mio padre sarebbe il mandante delle stragi mafiose del 1993-94″, tesi espressa nei gironi scorsi dalla Procura di Firenze . “È qualcosa di talmente enorme che fatico perfino a scriverlo. Ma davvero qualcuno può credere che Silvio Berlusconi abbia ordinato a Cosa Nostra di scatenare morte e distruzione per agevolare la sua discesa in campo del gennaio 1994? Ed è credibile, poi, che abbia costruito una delle principali imprese del Paese utilizzando capitali mafiosi?”.
Marina Berlusconi torna a difendere la memoria del padre, scomparso un mese fa: “Io conosco molto bene l’uomo che era mio padre, il suo orrore per ogni forma di violenza, la sua profonda considerazione per ogni singola persona, nessuno sa meglio di me come la capacità di amare e il desiderio di essere amato fossero l’essenza stessa della sua vita. Ma se qualcuno non si accontenta del buon senso o di quel che sostiene una figlia, mi spieghi perché, dopo oltre un quarto di secolo in cui decine di pm hanno dedicato le loro giornate a mio padre, non è emerso nulla, nulla di nulla. Invece, non basterebbe una pagina di questo giornale, caro direttore, per elencare le leggi contro la criminalità organizzata varate dai governi Berlusconi. Contro Cosa Nostra nessun altro esecutivo ha mai fatto tanto. Ma tutto questo non basta. La lettera scarlatta giudiziaria che marchia l’avversario resta indelebile, gli sopravvive. E il nuovo obiettivo è chiaro: la damnatio memoriae”.
Chiusura dedicata ad un pensiero amaro: “No, purtroppo la guerra dei trent’anni non è finita con Silvio Berlusconi. E non riguarda di certo soltanto lui. Perché un Paese in cui la giustizia non funziona è un Paese che non può funzionare. Non m’illudo che, dopo tanti guasti, una riforma basti a restituirci alla piena civiltà giuridica. Ma penso, e spero, che chi ha davvero il senso dello Stato debba fare qualche passo importante. Non dobbiamo, non possiamo rassegnarci. Abbiamo diritto a una giustizia che, come si legge nelle aule di tribunale, sia «uguale per tutti». Per tutti, senza che siano certe Procure a decidere chi sì e chi no”.
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