Prima la vicenda Visibilia, che vede coinvolta la ministra del Turismo Daniela Santanché, poi l’indagine sul sottosegretario al Ministero della Giustizia Andrea Delmastro. Infine il caso, ancora da accertare, che vede protagonista Leonardo Apache, figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa.
In questi giorni è stato molto acceso il dibattito tra il governo e la magistratura, con uno scambio di accuse reciproco. Anche fonti di Palazzo Chigi hanno ne hanno preso parte, accusando una parte dei giudici di preparare la campagna elettorale per le europee.
Ne abbiamo parlato con Pietro Pittalis, deputato di Forza Italia e vicepresidente della Commissione Giustizia alla Camera.
Il caso La Russa jr. rischia di aprire un nuovo scontro con le toghe. È così?
“Credo che si stia enfatizzando troppo una polemica unilaterale e che viene solo da una parte della magistratura. Perché fino a questo momento la parte politica, soprattutto quella che io rappresento, sta lavorando serenamente, anche con le audizioni in Commissione giustizia, dei magistrati sui diversi progetti di riforma della giustizia. Non mi pare che da parte della politica i toni siano particolarmente accesi”;
Quindi sta dicendo che lo scontro è voluto unicamente dalla magistratura?
“Vedo reazioni spesso scomposte. Non perché la magistratura non possa esprimere il proprio parere su proposte o disegni di legge, ma mi sembra che una parte di essa tenda ad accentuare lo scontro proprio nel momento in cui il Paese ha necessità di una riforma strutturale della giustizia e questa maggioranza e questo governo stanno provando seriamente a portarla avanti”;
Quali sono i punti principali della riforma della giustizia?
“Oltre al pacchetto proposto dal ministro Nordio, ci sono anche altri provvedimenti importanti all’esame delle commissioni competenti. Penso alla proposta sulla separazione delle carriere, sui meccanismi di composizione del consiglio superiore della magistratura, la modifica della legge Severino e il tema delle intercettazioni. Questi temi si aggiungono al ddl Nordio che dovrebbe essere avviato al Senato, che riguarda l’abuso di ufficio, il traffico di influenze illecite, il divieto di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni, che non costituiscano oggetto della parte emotiva di un provvedimento giurisdizionale; la non impugnabilità delle sentenze di assoluzione per i reati cosiddetti “a citazione diretta”, la revisione della disciplina sulla custodia cautelare con la previsione dell’interrogatorio di garanzia e la previsione del giudice collegiale, l’ampliamento dell’organico della magistratura. Ci sono le condizioni per una riforma complessiva del sistema penale, sia processuale che sostanziale, in ossequio ai valori costituzionali ispirati al garantismo, al giusto processo, alla ragionevole durata del processo, alla presunzione di innocenza e alla centralità del diritto di difesa”;
A proposito della separazione delle carriere, il ministro degli Esteri Antonio Tajani in un’intervista a Libero ha dichiarato che è “fondamentale e non per punire i magistrati”. Già nei giorni scorsi il governo ha chiarito che la riforma della giustizia non è una “vendetta” da parte della politica.
“Le riforme non si fanno contro qualcuno, ma si fanno per migliorare, in questo caso, il funzionamento del sistema giustizia. Non capisco quale provvedimento vada contro la magistratura. Stiamo portando avanti riforme assolutamente necessarie per rimettere il processo penale sul binario delle garanzie costituzionali, per garantire la terzietà del giudice, la parità tra accusa e difesa, il giusto processo e la sua ragionevole durata. Non si hanno intenti punitivi nei confronti di qualcuno. Ecco perché ritengo che le polemiche siano assolutamente strumentali. C’è un dato inequivocabile: esiste ancora una tendenza conservatrice e autoreferenziale di parte della magistratura italiana che vorrebbe che il sistema restasse com’è. È arrivato il momento che il Parlamento si riappropri del suo ruolo di fare le leggi, e che la magistratura provveda ad applicarle”;
Secondo lei è plausibile che dietro i casi Delmastro e Santanché ci siano ragioni politiche?
“No. Non credo mai ai teoremi complottisti e rilevo un accanimento mediatico su vicende che devono trovare la loro giusta collocazione nelle aule giudiziarie e non sulla stampa. Si tratta di vicende rispetto alle quali da un lato dobbiamo guardare con rispetto all’attività della magistratura, dall’altro bisogna assumere una condotta sempre prudente, uniformata alla nostra cultura garantista. Purtroppo da settori del Partito democratico e dal Movimento 5 Stelle, pare che il garantismo funzioni a correnti alternate e che con riferimento a certe vicende, vi sia un rigurgito giustizialista di stampo giacobino. Il caso del figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa è emblematico. Ricordo che quando la vicenda riguardò il figlio del leader del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo che adesso è sotto processo, contrariamente al Pd e ai grillini, noi abbiamo mantenuto una condotta prudente e garantista, in attesa che la magistratura chiarisca la vicenda”;
Come valuta invece, la vicenda della ministra Santanché?
“Lo stesso vale per la vicenda del ministro Santanché, la quale ha fornito tutti i chiarimenti chiesti dalle opposizioni in Senato. C’è un dato inquietante, rappresentato dalla notizia di un avviso di garanzia, neppure conosciuto dall’interessata ma che già era stato pubblicato dai mezzi di comunicazione. Il problema riguarda ogni cittadino italiano che non deve vedersi anticipare il processo, in una sorta di gogna mediatica, che è una vera e propria anticipazione di pena. Anche a riguardo sarà la magistratura a fare piena luce rispetto a una vicenda, nella quale sono certo che il ministro Santanché avrà tutte le ragioni per difendersi da quella che per ora è solo un’ipotesi accusatoria del pubblico ministero”;
Infine c’è il caso Delmastro…
“Anche sul caso Delmastro, le opposizioni hanno dapprima tentato di celebrare un processo in Parlamento. Poi, non paghi di una richiesta di archiviazione del pubblico ministero, hanno tentato di strumentalizzare la richiesta del gip di contestazione coatta. Al di là delle rispettive posizioni politiche, ritengo che la presa delle opposizioni sia fuori luogo. Mi sarei aspettato che da questo caso potesse emergere una convergenza per introdurre una necessaria modifica sul punto. È un paradosso che in un processo “accusatorio” residuino ancora istituti propri del processo “inquisitorio”. Anche perché l’azione penale è nella titolarità del pubblico ministero e non in capo al gip. Non comprendo perché anche valutazioni di questa natura possano dare adito a reazioni scomposte da parte di settori della magistratura, in particolare dell’Anm”.