Antonella Veltri, presidente dell’Associazione D.i.Re, in esclusiva a Ricercaitaliana.it: “Servono centri antiviolenza nelle scuole. Lavorare di più sulla prevenzione”
Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge che prevede misure di contrasto alla violenza contro le donne. Un intervento resosi necessario dopo l’omicidio di Giulia Tramontano e i numerosi casi di violenza che si sono registrati negli ultimi anni in Italia. Il disegno di legge prevede l’applicazione del braccialetto elettronico automatica; una distanza minima di 500 metri in caso di divieto ad avvicinarsi alla vittima; 30 giorni di tempo, sia per le richieste di misure cautelari dei pm sia per la loro applicazione da parte dei Gip; un pool di magistrati dedicato alla materia e processi più veloci.
Nel pacchetto del disegno legge, sono previste anche pene più severe per chi ha già subito un ammonimento, arresto in flagranza differita per stalking, maltrattamenti in famiglia e violazione del divieto di avvicinamento. I rappresentanti del governo plaudono all’iniziativa, dalle opposizioni giungono invece voci critiche. Dubbi e perplessità arrivano anche dall’Associazione D.i.Re (Donne in rete contro la Violenza). “Molto spesso certe norme vengono emanate sull’onda emotiva di un femminicidio”, ha dichiarato in esclusiva ai nostri microfoni Antonella Veltri, presidente dell’associazione.
D.i.re è sempre in prima linea, al fianco delle donne: ha una rete nazionale antiviolenza che si compone di 84 organizzazioni dislocate sul territorio nazionale, che gestiscono oltre 110 Centri antiviolenza e più di 60 Case rifugio, affiancando oltre 20.000 donne ogni anno. “Vengono emanate norme, proposti disegni di legge sull’onda emotiva di un ennesimo femminicidio e ci troviamo a commentare sempre le stesse cose. In questa occasione erano state annunciate delle grandi novità: delle misure di prevenzione e speravamo che queste misure andassero incontro a questo aspetto, che a mio modo di vedere è fondamentale”.
Quale?
“Prevenire significa provare ad anticipare, non intervenire a fenomeno accaduto. Pertanto le misure che sono state emanate dal Consiglio dei Ministri e che aspetteremo in aula, non ci soddisfano perché non entrano nel merito della natura strutturale della violenza maschile nelle donne. E non ci entrano per diverse ragioni”.
Il Governo ha parlato di interventi che tendono a rafforzare l’aspetto culturale. Il ministro Roccella ha detto che il disegno legge interviene su alcuni punti critici con una notevole forza, sia per quanto riguarda i tempi che sulle misure di prevenzione.
“Abbiamo seguito la conferenza stampa del ministro Roccella con molto interesse ed abbiamo riscontrato un altro punto dolente”.
Quale?
“L’esibizione delle donne che hanno superato la violenza nelle aule scolastiche. Si tratta di una misura che non ci soddisfa. Quest’esibizione delle donne significa per loro ripercorrere un incubo dal quale sono uscite. Ma qual è il significato? Perchè non inserire i centri antiviolenza nei progetti di prevenzioni delle scuole? Che cosa fanno i centri antiviolenza? Ascoltano le donne e sono a conoscenza diretta delle dinamiche e dei cicli di violenza. Questi sono i temi che ci sarebbe piaciuto che fossero approfonditi. Altrimenti siamo alle solite: si parla di prevenzione, ma non si fa nulla per prevenire”.
Tornando al discorso culturale e alle scuole: cosa si potrebbe fare concretamente?
“Inserire dei progetti scolastici di formazione sul tema del rispetto dei generi e dell’educazione sentimentale. Lavorare su temi legati a seconda dei gradi delle scuole, con l’inserimento dei centri di antiviolenza. Che senso ha esporre le vittime? Ripetere le loro storie nelle classi? Il ministro forse non lo sa: noi lavoriamo da trent’anni con le donne e sappiamo cosa significa provare a lavorare sull’educazione, sin dalle scuole”.
Quindi, rimanendo su ciò che state già facendo e che si potrebbe fare a livello nazionale?
“Noi siamo stati inseriti in alcune scuole come formatrici di progetti sull’educazione, che vengono rinnovati anno per anno e questa deve essere una misura che in davvero poco tempo deve saltare il fosso e diventare nazionale. Non è possibile che ci siano differenze di regione in regione“.
Quali sono queste differenze?
Faccio qualche esempio: in Emilia Romagna ci sono territori in cui il ruolo dei centri antiviolenza sono valorizzati, non come forma di accoglimento della donna, ma nel prevenire il fenomeno della violenza attraverso l’educazione. Esistono invece diverse realtà, nel sud Italia, ma anche in alcune zone del nord, in cui i centri anti violenze non sono nelle scuole. Bisogna lavorare su questo aspetto. E con forza”.
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