Condizione sempre più diffusa, la disforia si concretizza in una mancata corrispondenza tra il sesso biologico e quello a cui si sente di appartenere. Ecco cosa significa
Ne sentiamo parlare, la vediamo rappresentata nei film e nelle serie tv che guardiamo e ne leggiamo sui social o sulle riviste di gossip ma, attorno a noi, fatichiamo a trovarla. Questo accade non perché la disforia di genere non sia realmente così diffusa come se ne dice, ma perché c’è ancora molto pudore in merito e molta vergogna, soprattutto a causa di chi la ritiene un disturbo mentale, un vizio o una bugia. In realtà, la questione è reale e seria e parlarne aumenta la consapevolezza, ne diffonde la conoscenza e aiuta anche chi vive in questa condizione: ecco cos’è la disforia di genere.
Tecnicamente, la disforia di genere si ha quando una persona non si riconosce nel sesso biologico assegnatole alla nascita in base ai suoi organi riproduttivi. Questa mancata corrispondenza crea ovviamente disagio, confusione e fatica ad accettarsi nel proprio corpo e a inserirsi nella società. A parlarne è anche l’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (Onig), che spiega come chi vive la disforia spesso avverta la necessità di adeguare la realtà esterna, cioè il suo corpo, a ciò che sente dentro. Ecco quindi cosa può fare una persona che vive la disforia di genere e a che punto siamo in Italia.
Quando una persona riesce finalmente a comunicare ai propri parenti o a chi le sta accanto la propria condizione, si può valutare l’inizio di un percorso finalizzato al miglioramento della sua condizione fisica e psichica che, in certi casi, si concretizza nella scelta chirurgica della transizione verso il sesso a cui la determinata persona si sente di appartenere. A coordinarla un équipe di medici, psichiatri, chirurghi, endocrinologi e psicanalisti, poiché sono molteplici i fattori che entrano in gioco.
Tra gli specialisti coinvolti nella disforia c’è anche il pediatra poiché molto spesso questa incongruenza tra sesso assegnato alla nascita e genere di appartenenza viene avvertita già in pubertà, alla comparsa dei primi peli. Proprio in merito a questa delicatissima fase della crescita dell’individuo, si ha proprio in questo momento una lotta in merito al ricordo alla triptotrelina, un ormone utilizzato per l’arresto dello sviluppo puberale. Usandolo, si mette in pausa la crescita dei peli e si ritarda l’arrivo delle mestruazioni con la trasformazione dei genitali per un periodo variabile ma, al terminare della cura, si riprende lo sviluppo.
Da un lato, una parte della società scientifica sostiene queste cure poiché usate da trent’anni e sostenute anche dall’Aifa mentre, dall’altro, il Presidente della Società psicanalitica italiana Sarantis Thanopulos scredita l’uso di questo ormone, soprattutto se in tenera età. La questione è complessa, così come la disforia in sé e la lotta continuerà a lungo.
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